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giovedì 20 agosto 2009

Note su imitazione, furto e plagio nel Classicismo

Mentre cercavo informazioni sull'epigramma di Marziale dedicato al plagio mi sono imbattuto in un articolo di Amedeo Quondam intitolato Note su imitazione, furto e plagio nel Classicismo:
"Non c’è dubbio: l’imitazione è per noi — oggi — una pratica sconveniente, anche brutta (in senso morale), irrimediabilmente segnata in modo tutto negativo. È un radicale e radicato disvalore.
Questa istintiva ripulsa dell’imitazione dimostra quanto la nostra cultura contemporanea sia ancora direttamente erede delle grandi parole d’ordine della “rivoluzione” romantica e idealistica, e quanto sia ancora profondamente segnata dalle sue componenti ideologiche liberali e libertarie. Queste remote radici formano — in modo ormai del tutto naturale e scontato — il cuore profondo del nostro sistema comunicativo, nelle sue stesse pratiche quotidiane: per tutto ciò che attiene alla “creazione” nella comunicazione estetica, infatti, il dato primario ed elementare consiste nell’assioma secondo cui ogni soggetto “creativo” si definisce, essenzialmente, a partire dalla propria irripetibile autonomia e libertà, cioè dal suo diritto irrinunciabile, e non condivisibile, all’identità e alla proprietà di ciò che produce, in senso anche strettamente giuridico.
E infatti il “diritto d’autore” — in senso proprio, in quanto copyright: tutela della “proprietà” estetica e divieto di copia delle opere d’ingegno — è sancito formalmente solo a partire dal primo Ottocento, dalla promulgazione del codice napoleonico." Continua in questo sito.

"La parola italiana plagio deriva dal latino plagium, che a sua volta trae origine dal greco plaghios, che vuol dire traverso, ambiguo, sghembo. Nel diritto romano il termine designava il furto di schiavi, o la riduzione in schiavitù, con metodi fraudolenti, di un cittadino libero. Marziale si lamenta di un plagiarius che va in giro a spacciare per propri i suoi versi 'Veglia, o Quinziano, sui miei versi;/ se miei posso ancora chiamarli,/ quelli che recita il tuo poeta:/ se si dolgono della loro servitù,/ fatti avanti a difenderli e a pagarne il riscatto,/ e, qualora colui se ne proclami padrone,/ tu dì che sono miei, e da me fatti liberti./ Se quello insiste una terza, una quarta volta a gridarlo,/ svergognalo, allora, questo plagiario.'" Da L'oro della psicoanalisi di Sandro Gindro

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